Herbis, non verbis fiunt medicamina vitae.

  1. «Se le particolari esigenze del luogo o la povertà costringono i fratelli a raccogliere personalmente i frutti della terra, non si rattristino. Allora sono veri monaci, quando vivono del lavoro delle loro mani» (48,7-8). Così scrive san Benedetto da Norcia nel 534 nella sua Regola, invitando a rispettare il famoso principio dell'”Ora et labora”. In questo modo, indirettamente, dà anche un forte impulso all’attività dei religiosi addetti alla coltivazione delle piante officinali destinate alla spezieria del monastero.

    Oltre che della produzione di rimedi naturali, spesso i monaci si occupano personalmente anche della classificazione delle varie piante, creando erbari riccamente illustrati di cui sono rimaste alcune copie conservate in diverse biblioteche. Si tratta di una particolare categoria di libri che contiene campioni di erbe schiacciate ed essiccate, soprattutto medicinali, con brevi descrizioni delle loro caratteristiche e delle loro virtù. A partire dal Quattrocento questi testi cominciano a essere dotati di disegni anche molto dettagliati.

    Erbario è anche il nome assegnato al locale in cui vengono conservate e manipolate erbe e foglie, radici e bacche dalle proprietà curative raccolte nei campi o coltivate nell’hortus botanicus del convento. Una volta essiccate, sono custodite nell’armarium pigmentariorum, un armadio dalla struttura robusta e vietato ai “profani”, chiuso in modo tale da non lasciar filtrare troppa aria e soprattutto luce, per mantenere inalterate le proprietà terapeutiche delle varie specie.

    Accanto alle attività agricole e alla preparazione di medicamenti, quindi, molti religiosi si impegnano con assiduità ad approfondire le conoscenze in campo botanico producendo una serie di opere molto interessanti dal punto di vista storico e scientifico.

    Evangelista Quattrami, frate agostiniano, trascorre gran parte della sua vita in giro per l’Italia a raccogliere piante medicinali. Studia botanica e teologia a Roma, dove diventa discepolo del Collegio dei medici della città, ma continua per molti anni a coltivare erbe e a distillarle. Nel 1586 scrive un testo sulla peste, con l’intento di preservare i confratelli dal contagio, e nel 1597 un trattato sulla teriaca, una sorta di antidoto universale molto in voga sino al XVIII secolo.

    Anche molti Francescani si dedicano agli studi e alla scrittura: Gregorio da Padova, naturalista e speziale, redige nel 1663 una farmacopea manoscritta ricchissima di quelli che definisce «sperimenti segreti» e Donato da Roccadevrando, speziale del convento di Forniello, si occupa di alchimia e scrive testi sull’arte distillatoria.

    I membri di questo Ordine, poi, si specializzano in modo particolare nella creazione di erbari. Uno dei più importanti è quello di fra Fortunato da Rovigo, nato nel 1638, che arriva nel convento di Padova come aiuto infermiere ed è allievo di Gregorio da Padova, dal quale apprende il segreto della preparazione di una miracolosa panacea, detta “polvere dell’Algarotto”. Studia botanica, inizia una corrispondenza epistolare con studiosi italiani e stranieri e ne conosce personalmente un gran numero.

    Trasferitosi a Verona, comincia la redazione di un erbario, che completa recandosi più volte sul Monte Baldo, famoso in quell’epoca per la ricchezza della sua flora. Inoltre coltiva personalmente le specie più interessanti in un orto vicino al convento. La sua raccolta si arricchisce di preziosi esemplari grazie a molti confratelli missionari che gli inviano o gli portano piante e semi da ogni parte del mondo.

    In seguito riassumerà i risultati delle sue ricerche in un primo testo in sei volumi, Tavola di Montebaldo fiorito (1690), purtroppo andato perduto, di cui rimangono solo le prime 54 carte.

    Il primo tomo era forse la bozza di un’opera più vasta che Fortunato compone subito dopo e che doveva comprendere sette volumi in-folio. Riesce a completarne soltanto sei, mentre il settimo viene ultimato dal suo allievo, fra Petronio da Verona, che ne aggiunge un ottavo utilizzando il copioso materiale già raccolto dal maestro, ne redige un nono di indici e note e abbellisce il primo e l’ultimo di acquerelli e disegni a penna. L’opera, dal titolo Theatrum Plantarum, è rimasta manoscritta ed è conservata nel Museo di Storia naturale di Verona.

    Come si legge nelle ultime pagine, prima di redigere il suo erbario Fortunato aveva consultato le opere di ben 348 naturalisti, riportando sotto ogni esemplare il nome di chi l’aveva descritto per primo.

    L’autore è estremamente preciso e dimostra una grande competenza: le piante presenti sono addirittura 2.352 e ognuna viene esaminata e studiata in modo da evidenziarne tutte le parti utili a identificarla.

    Un altro erbario molto interessante è quello del francescano minore Carlo Francesco Berta, nato nel 1722 e ordinato sacerdote con il nome di fra Zaccaria, botanico e naturalista di gran fama, tanto da essere chiamato a insegnare alla cattedra di botanica di Ferrara. Da buon speziale, cura l’orto del convento ed esercita la sua attività fino all’età di ottantotto anni.

    Lascerà alla biblioteca del Collegio Alberoni di Piacenza tutti i testi che aveva riunito durante la sua vita, tra cui un volume composto dallo stesso frate con 148 tavole a colori raffiguranti specie autoctone ma soprattutto esotiche e un famoso erbario con tavole del Morandi, pittore e naturalista milanese e iconografo dell’orto botanico di Torino.

    È francescano anche padre Giuseppe di Massa Ducale, farmacista speziale dell’Arcifarmacia dell’Aracoeli a Roma, che nel 1738 crea un erbario contenente oltre quattrocento piante officinali. Nella sua introduzione leggiamo:Herbis, non verbis fiunt medicamina vitae.